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I Tarocchi ebbero un nuovo impulso nella metà dell’Ottocento con l’occultista Eliphas Levi (pseudonimo di Alphonse Louis Constant), che indicava l’origine dei tarocchi nella Cabbala ebraica. Fu Levi a distinguere le 78 carte del mazzo in “Arcani maggiori” e “Arcani minori”. Negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento le dottrine esoteriche sui Tarocchi furono fissate definitivamente dagli occultisti francesi Papus (pseudonimo di Gérard Encausse) e Oswald Wirth in una serie di celebri opere. Nei primi decenni del Novecento la “Scuola francese dei Tarocchi” cominciò ad essere soppiantata dalla “Scuola inglese” nata in seno all’Ordine Ermetico della Golden Dawn.
Nei consulti di cartomanzia i Tarocchi sono formati da 78 carte, dette anche “lame” a partire dall’esoterista ottocentesco Paul Christian (pseudonimo di Jean-Baptiste Pitois), seguace di Court De Gebelin ed Eliphas Levi. Il gruppo degli “Arcani maggiori” è costituito da 22 carte illustrate con figure umane, animali e mitologiche, anticamente chiamate “Trionfi”. Il gruppo degli “Arcani minori” usate allora nei consulti di cartomanzia consta di 56 carte, suddivise nelle 4 serie di semi della tradizione italiana: denari, coppe, spade e bastoni (anche se, in alcuni casi, i nomi dei semi si adattano alla tradizione locale). Ogni serie, costituita da 14 carte, include 4 figure, definite anche “onori” o “carte di Corte” (Fante, Cavaliere, Regina e Re ), e 10 carte numerali.
Certamente erano carte da gioco inizialmente, usate a scopo didattico. in particolare la sequenza dei Trionfi fu pensata per l’insegnamento della dottrina cattolica. In seguito sono stati usati per diversi giochi di carte a scopo ludico.
(pseudonimo di Jean-François Alliette), le lame dei tarocchi sono stati usati a scopo divinatorio e sono diventati lo strumento più utilizzato nella cartomanzia quella che oggi conosciamo anche come cartomanzia la zingara o Cartomanzia della zingara.
Secondo alcune ipotesi storiografiche, sino al 1500 le carte furono soprannominate Ludus triumphorum. A partire dal 1600 circa, ovvero circa un secolo dopo la creazione del mazzo più antico oggi conosciuto (i Tarocchi milanesi classificati come Visconti-Sforza), in Italia fu utilizzato il termine tarocco (o tarocchi) la cui etimologia è tuttora oscura.
Non prima del 1450 fu realizzato il mazzo più completo di Tarocchi a noi pervenuto. Cioè i Tarocchi di Francesco Sforza conosciuto anche come Tarocchi di Francesco, legato ai Visconti nel governo del ducato di Milano. Lo stemma ed il motto Visconteo “à bon droyt” compaiono assieme ai simboli araldici della famiglia (un sole raggiante; tre anelli con diamanti intrecciati; il biscione). Il mazzo, conservato in tre gruppi separati, si trova presso l’Accademia Carrara di Bergamo (26 carte), la Pierpont Morgan Library di New York (35 carte) e la famiglia Colleoni di Bergamo (proprietaria di 13). Questi mazzi e le loro varianti si diffusero nell’Italia settentrionale con diverse interpretazioni illustratrive: per esempio, nella versione ferrarese la Luna è rappresentata da uno o due astrologi, mentre in quella viscontea una donna tiene una mezza luna nella mano destra; nei Tarocchi ferraresi il Matto è un buffone tormentato da alcuni bambini mentre in quelli lombardi è un mendicante gozzuto (evidente allusione al gozzo, cioè la tipica malattia dei montanari della zona prealpina). A volte i mazzi erano realizzati in occasione di matrimoni signorili ed in tal caso gli emblemi dei due sposi erano dipinti sulla carta dell’Innamorato.
I tarocchi del Mantegna
Probabilmente inciso prima del 1467, questo mazzo di 50 carte fu erroneamente attribuito ad Andrea Mantegna, ma per lo stile è collegato all’ambito ferrarese.
Il Mantegna è citato come autore di questo mazzo in forma ufficiosa grazie alla menzione di Giorgio Vasari nel suo libro dedicato a pittori noti dell’epoca; nel capitolo in cui parla del Mantegna si legge: “Si dilettò il medesimo, siccome fece il Pollajuolo, di fare stampe di rame, e fra l’re cose fece i suoi trionfi, e ne fu allora tenuto conto, perché non si era veduto meglio”. Ma sebbene esista tale citazione di Vasari, il vero autore di queste incisioni resta per gli studiosi ancora sconosciuto.
Questa lama dei tarocchi non ha alcun riferimento iconografico alle carte Visconti – Sforza: mancano infatti totalmente i semi e in parte gli onori (ossia Fante, Cavallo, Regina, Re) nonché i classici Trionfi, a parte alcune allusioni al Matto e all’Imperatore.
Il mazzo, di cui si conoscono due serie, soprannominate E ed S è suddiviso in cinque gruppi di dieci carte. L’ordine numerico corrisponde a una precisa gerarchia d’importanza.
Ogni gruppo inizia con Le condizioni umane, prosegue poi con Apollo e le Muse, le Arti e le scienze , con particolare riferimento alle Arti Liberali, ossia a quel complesso di conoscenze teoriche considerato indispensabile all’uomo libero. Nel Medioevo cristiano erano considerate superiori alle Arti meccaniche tra cui figuravano quelle visive. Successivamente si passa agli Spiriti e alle Virtù, poi ai Pianeti e le Stelle dell’Universo, aderenti alla classica visione di Tolomeo e infine all’Ottava Sfera, al Primo Mobile e alla Prima Causa, cioè Dio.
L’insieme è composto da 50 illustrazioni e ciascuna ha l’aspetto di un trionfo. Non ci sono semi. Le immagini portano il nome del soggetto, il numero progressivo (sia in cifre romane che arabe) e una lettera dell’alfabeto (da “E”, la più bassa, ad “A”, la più a) indicante il gruppo di appartenenza. I gruppi sono così strutturati: Gruppo E: gli Umani. Dieci carte in cui vengono raffigurati i diversi livelli sociali, dalla posizione più bassa, il Mendicante, alla più a, il Papa. Gruppo D: le Muse. Nove muse e il dio Apollo. Gruppo C: le Arti liberali. Queste dieci figure rappresentano le sette arti liberali delle università medioevali, alle quali erano aggiunte l’Astronomia, la Filosofia e la Teologia. Gruppo B: le Virtù. Sole, Tempo e Cosmo, cioè l’Universo, con le quattro Virtù Cardinali e le tre Teologali (di cui la maggiore è la Fede). Gruppo A: Sfere Celesti. I sette pianeti della concezione tolemaica e le due sfere successive che portano alla Prima Causa, a Dio stesso. Per quanto concerne la provenienza geografica del mazzo, non conoscendosi il vero autore, è difficile stabilirne l’origine.
I tarocchi di Besançon
Come per Marsiglia, la città non può vantare la paternità di queste carte dei tarocchi a semi italiani. Il più antico mazzo di questo genere databile con certezza risale al 1746, e ne conosciamo sia il fabbricante – Nicolas Laudier – sia l’incisore, Pierre Isnard. Le eccezioni più notevoli sono i Trionfi II, la Papessa, trasformata in Giunone, e il V, il Papa, diventato Giove tonante.
Questo mazzo è l’antenato degli antichi Tarocchi di Marsiglia pubblicati da Paul Marteau 30 anni dopo. Si tratta in reà di Tarocchi di Besançon.
Questi Tarocchi di Besançon sono molto interessanti poiché Paul Marteau nel 1930 ne ha copiato i tratti in modo quasi identico. Ne ha sostituito i colori con ri molto simili a quelli del mazzo Camoin del 1880 e ha chiamato questo strano miscuglio”antichi Tarocchi di Marsiglia” “(vedi il libro “Tarot et Magie” pubblicato dalla Biblioteca Nazionale di Parigi).
Questi Tarocchi di Besançon del 1898 furono copiati daii del cartaio Lequart, di cui un esemplare si trova al “Museo francese delle carte da gioco” (Issy-les-Moulineaux, Francia). Il Papa e la Papessa sono sostituiti da Giove e Giunone, i colori sono totalmente inventati e di gusto infelice.
Grande Lama dei tarocchi di Belline e ORACOLO di BELLINE
78 lame ideate da Edmond Belline il più famoso indovino francese del XIX secolo. L’ Imperatore Napoleone III° non muoveva un passo senza consultarli.
Arriviamo ai giorni nostri, rappresentati dai tarocchi di Wirth, Waite, Jodorowsky ( che per quanto riguardo la cartomanzia dovrebbe darsi all’ippica o all’uncinetto) ecc……
I Trionfi Marsigliesi
Non abbiamo riferimenti per la datazione dei tarocchi di Marsiglia così chiamati per la città della Francia che ha goduto di una posizione di monopolio nella produzione di questo tipo di carte pur non avendole inventate; sebbene i primi mazzi conosciuti risalgano al XVIII secolo, lo stile delle carte a semi italiani fa propendere per l’origine latina di questo tipo di mazzo, probabilmente diffusosi dalla Lombardia in territorio francese. Uno dei modelli più conosciuti dei tarocchi di Marsiglia fu inciso su legno dal francese Claude Burdel nel 1751.
Egli aveva contrassegnato Il Carro con le sue iniziali, mentre la sua firma per esteso compare sul 2 di denari. Le figure sono intere, e – relativamente agli Arcani maggiori – recano la denominazione in francese e sono contrassegnati da numeri romani. La morte non aveva nome. Le scritte erano in un francese sgrammaticato, spesso privo di accenti e apostrofi. Gli abiti delle figure, pur nella loro forte stilizzazione, si riferiscono a prototipi rinascimentali. Il mazzo fu poi rielaborato correttamente dal francese Grimaud, e ristampato nel XIX secolo.
È questa forse la principale forma definitiva attualmente usata. Nati nella seconda metà del XVIII secolo da un marsigliese, Fautrier.L’iconografia si ispira al medioevo. Senz’ro il più diffuso a livello internazionale.
Molti tarocchi fantastici si ispirano a quelli marsigliesi. Vale quindi la pena di darne una descrizione più accurata:
I – Il Bagatto (le Bateleur). La parola ha origini latine e sta ad indicare “figura da poco”, “bagatella”, cosa di nessun conto. Rappresenta un giovane uomo con un grande cappello e abiti vistosi, posto in piedi davanti a un tavolo, su cui figurano monete, vasetti, dadi, coltelli, una borsa. L’uomo regge nella mano sinistra un bastone dorato.
II – La Papessa (La Papesse). È forse una delle figure che ha dato luogo a maggiori discussioni, dal momento che nessuna donna ha mai avuto accesso al soglio di Pietro. In taluni mazzi è stata sostituita da Divinità o re carte. La donna ha un triregno in capo, è seduta su un trono ricoperto da un velo e ha in mano un libro aperto.
III – L’Imperatrice (L’Imperatrice). Una donna in trono, con la corona in testa, ha in mano uno scettro col globo sormontato dalla croce (da sempre simbolo di impero). Regge con la mano destra uno scudo con un’aquila araldica, e ha due ali aperte sulla schiena.
IV – L’Imperatore (L’Empereur). Un uomo barbuto, seduto in trono di profilo, con una gamba incrociata sull’ra, regge uno scettro con la destra. Sotto al Trono è appoggiato uno scudo con un’aquila araldica. La carta è evidentemente collegata col potere terreno.
V – Il Papa (Le Pape). Seduto in posizione frontale, il Pontefice col Triregno regge un pastorale a croce con tre traverse. Ai suoi piedi, di statura notevolmente inferiore, sono inginocchiati due chierici. Il Papa ha la barba canuta, probabile allusione alla sua saggezza.
VI – L’innamorato (L’Amoreux). Sotto un grande cupido alato, pronto a scoccare la sua freccia, un giovane sta in piedi tra due figure femminili, una vestita più poveramente dell’ra. I critici sono concordi nell’identificare questa lama col mito di Ercole, che dovette scegliere tra Vizio e Virtù.
VII – Il Carro (Le Chariot). Un carro visto in modo rigidamente frontale, è condotto da un giovane guerriero incoronato, mentre trattiene saldamente due cavalli, uno blu ed uno rosso, che tendono a scartare in posizioni opposte.
VIII – La Giustizia (la Justice). È questa una delle quattro Virtù cardinali citate nel mazzo, da cui manca la Prudenza. Una donna in trono regge con la mano sinistra una bilancia dai piatti allineati, e con la destra una spada. Questo Trionfo contiene in sé l’idea di equilibrio e di punizione.
IX – L’Eremita (L’Hermite). Un vecchio barbuto, appoggiandosi ad un bastone, avanza reggendo una lampada. Non si può fare a meno di pensare a Diogene che, reggendo una lampada affermava di cercare l’uomo.
X – La Ruota della Fortuna (La Roue de Fortune). Questa immagine, largamente conosciuta e rappresentata nel Medioevo, raffigura una ruota sormontata da una sfinge alata con corona e spada, con due esseri mezzo uomo e mezzo animale arrampicati ai suoi lati. Già in epoca medievale la Ruota era usata per ricordare la vanità delle conquiste e dei beni terreni.
XI – La Forza (La Force). Una donna con un ampio cappello in testa chiude le fauci di un leone. È una delle quattro Virtù cardinali raffigurata nel mazzo.
XII – L’Appeso (Le Pendu). Un uomo è appeso per un piede a un palo retto da nodose travi di legno. La gamba libera è piegata verso l’interno. La carta raffigura una pena praticata realmente durante il Medioevo, sia dal vero sia in effigie, a chi si rendeva reo di tradimento. Questo tipo di pittura, detta infamante, era solitamente affidata a mestieranti, ma a volte ad artisti di rilievo, come Sandro Botticelli e Andrea del Sarto.
XIII – La Morte (a volte lasciata senza scritta) – Uno scheletro con una falce cammina in un campo cosparso di mani e di teste. La figura è collegata con l’iconografia medievale del Trionfo della Morte molto diffusa nel Medioevo e nel Rinascimento, in cui uno o più scheletri si trascinano, in fila o in una danza macabra, regnanti, Papi e ri soggetti solitamente di o livello sociale.
XIV – La Temperanza (La Temperance). ra virtù cardinale. Un Angelo con la veste bipartita in due zone di colore blu e rosso, versa un liquido da un’anfora all’ra reggendole entrambe con le mani.
XV – Il Diavolo (Le Diable). Un essere cornuto dal viso sghignazzante, le ali di pipistrello, i seni femminili, i genitali maschili, le gambe caprine, sta in cima a un piccolo ceppo a cui sono legati due diavoletti. Gli zoccoli e il ghigno osceno sono mutuati dalle classiche immagini greche del dio Pan.
XVI – La Casa di Dio (La Maison Dieu). Una torre che ha come tetto una corona, viene scoperchiata da una lingua di fuoco, mentre due figure umane cadono al suolo e piccole sfere riempiono l’aria. La costruzione evoca la Biblica torre di Babele, talmente a che Dio punì gli uomini confondendo il loro linguaggio.
XVII – La Stella (L’etoile). Con questa carta si abbandona il mondo umano e si entra in quello spiritualmente superiore. Otto stelle, di cui la centrale molto più grande, sormontano una donna nuda che versa per terra acqua da due anfore. Sul fondo, un minuscolo albero su cui canta un piccolo uccello.
XVIII – La Luna (La Lune). Seconda lama della serie degli astri la Luna splende rotonda in cielo ma con il volto raffigurato di profilo, mentre gocce colorate partono dalla terra verso di essa. In primo piano un Gambero, legato zodiacalmente al segno del Cancro, esce da una pozza d’acqua. Due cani ululano e due torri sullo sfondo sembrano custodire il paesaggio.
XIX – Il Sole (Le Soleil). Un grande sole radiante sparge gocce su due gemelli ritti in piedi vicino a un basso muretto in mattoni.
XX – Il Giudizio (Le Jugement). Un angelo esce da un nembo colorato suonando la tromba, mentre tre piccoli corpi sorgono da un avello Anche questa immagine, frequentissima nel Medioevo, può farsi risalire ai numerosi miti sulla fine del mondo presenti in molte religioni antiche. Il più importante riferimento è certamente l’Apocalisse di San Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento. Questa carta corrisponde all’Angelo di ri mazzi da gioco.
XXI – Il Mondo (Le Monde). La carta rappresenta una donna seminuda che regge due bastoncini nelle mani. Essa è circondata da una mandorla di foglie, mentre ai quattro lati della carta compaiono i simboli Tetramorfi degli Evangelisti: un Angelo (San Matteo) un’Aquila (San Giovanni) un Toro (San Luca) e un Leone (San Marco). La carta compendia, se pur in forma elementare due figure geometriche, il cerchio e il quadrato, che erano considerate il simbolo della perfezione.
Il Matto (Le Fou). La lama non è numerata e può essere inserita sia all’inizio sia alla fine del mazzo. Un giullare girovago, col cappello a sonagli, che regge su una spalla un fagottino con le sue poche cose, si avvia verso una strada non meglio identificata, rincorso da un cane che gli sta lacerando una calza. Una figura analoga si trova nel tarocco del Mantegna, ma è chiamato il Misero.
Le Minchiate
Comparso a Firenze, questo curioso mazzo di novantasette carte fu chiamato così con probabile attinenza al membro virile, ma anche per indicare che il gioco di carte non era da prendersi sul serio. Godette di grande fortuna soprattutto nell’Italia centro settentrionale, ma fu poi gradualmente abbandonato. Le Minchiate sono una curiosa variante regionale, completamente errata, del tarocco tradizionale. Le prime trentacinque carte, dette Papi sono seguite da cinque carte chiamate Arie: la Stella, la Luna, il Sole, il Mondo e il Giudizio finale detto Le trombe. I semi sono Denari, Coppe, Bastoni, Spade. Gli onori sono detti Cartiglia e presentano centauri al posto dei cavalieri. Tra le re carte mancano la Papessa e il Papa, mentre sono stati aggiunti il Granduca, le quattro Virtù Cardinali, le tre Teologali, i quattro Elementi, i dodici Segni zodiacali.
Il tarocchino Bolognese
Bologna, che è stata uno dei centri in cui il gioco era più attivamente praticato, non ci ha lasciato alcun mazzo completo prima del XVII secolo. I questo periodo si giocava una nuova forma di tarocco a mazzo ridotto di 62 carte, anche se non abbiamo indicazioni precise sulla data in cui vennero eliminate determinate carte. I tagli erano relativi alle carte numerali, ad esclusione degli Assi. Né il tarocchino è l’unico esempio di contrazione del mazzo: a Venezia il gioco della Trappola prevedeva trentasei carte.
Il tarocchino bolognese trionfò in questo periodo grazie a vicissitudini particolari: tra il 1663 e il 1669 un artista bolognese fantasioso e versatile, Giuseppe Maria Mitelli (1634 – 1718) incise un libro sui tarocchini dedicato a Prospero Bentivoglio. I fogli dovevano poi essere tagliati e incollati dal giocatore.
periodo della Controriforma e con sensibilità tutta barocca, il Mitelli trasformò il mazzo eliminando la figura della Papessa e ridisegnando i Trionfi. Così l’Appeso è un uomo condannato alla pena capitale che aspetta che il boia gli fracassi il cranio con un martello; la Stella è un mendicante che avanza nella notte con una lanterna; la Luna e il Sole sono ispirati ad Artemide e ad Apollo, il mondo è un globo sorretto da un gigantesco Atlante. Anche le carte numerali hanno disegni fantasiosi, mentre nell’Asso di denari l’artista ha inciso il suo ritratto con la firma.
Un ro tipo di tarocchino bolognese, tuttora usato se non ro per la divinazione, risale al 1725 e fu ideato dal canonico Montieri. L’autore aveva indicato le diverse forme di stati europei, audacemente situando Bologna sotto un governo misto, laico-clericale. Dal momento che la città era inserita nei domini dello Stato Pontificio, la cosa fu giudicata irrispettosa e l’audace prelato fu incarcerato.
Il senato bolognese trovò un accordo facendo sostituire le icone irriverenti con figure di mori. In una data non precisata della seconda metà del Settecento, il tarocchino fu uno dei primi mazzi che suddivise le figure in due metà speculari.
Il tarocco Piemontese
Grazie alla sua vicinanza alla Francia, ma forse anche per influenza dell’Italia settentrionale, il Piemonte conobbe e usò ben presto i tarocchi, che sono ancora uno dei pochissimi mazzi di questo genere in produzione. Alla fine del XIX secolo fu introdotto il tipo a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate. Le poche variazioni rispetto al mazzo tradizionale sono date dall’uso dei numeri arabi al posto di quelli romani, dalla testa del Matto, Associata a una farfalla, dal Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l’iconografia popolare delle anime del Purgatorio.
Lo straordinario interesse che si è sviluppato intorno ai tarocchi dall’Ottocento in avanti ha spinto numerosi artisti contemporanei a reinterpretare le misteriose figure. Fra gli italiani si possono ricordare Franco Gentilini, Renato Guttuso, Emanuele Luzzati [1], Ferenc Pinter e Sergio Toppi. Fra gli artisti non italiani spiccano Salvador Dalí e Niki de Saint-Phalle, autrice del fantastico Giardino dei Tarocchi costruito a Garavicchio, presso Capalbio.
Numerosi illustratori hanno realizzato nuovi mazzi, talvolta in collaborazione con storici e letterati. Per esempio, i Tarocchi di Dario Fo sono stati dipinti dal figlio Jacopo su progetto del Premio Nobel Dario Fo, mentre allo scrittore Giordano Berti si deve la sceneggiatura di dieci mazzi realizzati da vari illustratori.
A Riola, in provincia di Bologna, è stato istituito da tempo un Museo dei Tarocchi con un’ampia raccolta di carte.
I Tarocchi Visconti Sforza
I mazzi italiani di tarocchi relativi al periodo dei primi anni del 1400 giunti sino a noi, si ricollegano per lo più al ducato di Milano. Ne vennero eseguite tre serie per il duca Filippo Maria Visconti: carte già di proprietà di Visconti di Modrone.
I Tarocchi detti ‘di Carlo VI’
I Tarocchi detti “di Carlo VI” sono un prezioso gioco dipinto a mano della fine del XV secolo, destinato ad una corte principesca. Queste carte non sono state eseguite per il re Carlo VI come il nome potrebbe far pensare. All’origine di questo travisamento c’è l’identificazione con un gioco menzionato negli archivi e realizzato per il re.
I Tarocchi di Nicolas Conver
Nicolas Conver incide nel 1760 il più celebre e rispettato degli antichi mazzi di Tarocchi di Marsiglia e fonda la fabbrica Conver. Fu incisore alla corte del Re, il che ci suggerisce che fosse il migliore dell’epoca: non solo era “Mastro di Carte” ma gli veniva anche riconosciuto uno status superiore agli ri esperti.
I Tarocchi di Herì
Questi Tarocchi, realizzati da un mastro cartaio svizzero produttori di numerosi mazzi, è unico nel suo genere per il minor taglio all’interno del quadro. La copia qui presentata è preservata nel Museo Nazionale di Zurigo, in Svizzera.
I Tarocchi di Madenié
Questi tarocchi, prodotti a Digione nel 1709, sono considerati uno standard di riferimento, a causa della precisione dei tratti, della qualità di incisione e dell’ottima conservazione dei colori originari. La copia qui presentata, l’unica esistente completa, si trova presso il museo nazionale di Zurigo, in Svizzera.
I Tarocchi di Paul Marteau
22 arcani Maggiori dei Tarocchi definiti gli Antichi Tarocchi di Marsiglia. Il loro autore è Paul Marteau il quale disegnò questo mazzo mescolando due giochi differenti, i Tarocchi di Besançon pubblicati da Grimaud alla fine del XIX secolo, che riproducono ri Tarocchi di Besançon pubblicati da Lequart e firmati “Arnoult 1748”, con i colori di un mazzo Conver edito nell’800 e caratterizzato dalla stampa in quadricromia, che così drasticamente aveva ridotto il numero dei colori.
Nel 1929 Paul Marteau, editore presso Grimaud, volendo far parte dell’intellighenzia esoterica e spirituale del suo tempo, commette il tradimento per eccellenza: manomette una Tradizione. Fa sì che diverse generazioni di appassionati o studiosi di Tarocchi, scambino il mazzo da lui “ricreato” ritenendolo quello dei veri, autentici Tarocchi di Marsiglia.
Egli afferma, infatti, che il suo gioco è quello di Nicolas Conver, quando invece non si tratta che di una mediocre copia, risultato di diverse operazioni commerciali e tecniche. Marteau nel suo libro “Le Tarot de Marseille” (I Tarocchi di Marsiglia) riproduce le sue carte, analizzandole una per una. Pur perseguendo la vera strada dello studio dei Tarocchi iniziata da Joseph Maxwell, commette alcuni gravi errori.
I Tarocchi di Etteilla
Il mazzo di Etteilla riprodotto dall’editore Grimaudnel 1890. Come i Tarocchi di Marsiglia, ben noti a Etteilla come a Court de Gébelin, questo mazzo era composto da 22 Arcani Maggiori e 56 Minori.
I Tarocchi di Papus
22 Arcani Maggiori dei Tarocchi di Papus, secondo un’edizione inglese novecentesca.
I Tarocchi di Oswald Wirth
22 Arcani Maggiori del mazzo disegnato da Oswald Wirth grazie alle indicazioni di Stanislas De Guaita che, pertanto, dovrebbe essere considerato il vero ispiratore di queste immagini.
Arthur Edward Waite.
I Tarocchi di Rider Waite
22 arcani maggiori del mazzo detto Raider Waite, disegnato da Pamela Colman Smith secondo le istruzioni date da Arthur Edward Waite (1857-1942), è noto soprattutto in quanto co-autore del mazzo dei Tarocchi Rider-Waite, molto popolari in tutto il mondo anglosassone, che accompagnavano un volume intitolato The Key to the Tarot (La Chiave dei Tarocchi, Rider & Son., London 1909), ripubblicato in versione ampliata l’anno seguente con il titolo “La Chiave Illustrata dei Tarocchi” . Autentico erudito in questioni di scienza occulta, scrisse “The Holy Kaballah” e “ The key to the tarot”, pubblicati a Londra nel 1910. Per Waite, il simbolismo é la chiave fondamentale dei Tarocchi. In “The Key to the tarot”, dice “i veri Tarocchi sono simbolici, non utilizzano nessun ro linguaggio ne ri segni”. Quali sono queste carte dei Tarocchi di cui parla Waite? Qual’é il loro messaggio?
Ció che caratterizza i Tarocchi di Rides é che tutte le carte, incluse le 40 carte numeriche, sono emblematiche e quindi piú facili da inetrpretare che le coppe, spade, ori e bastoni dei Tarocchi di Marsiglia.
Rider Wait modificó la numerazione delle carte: tra gli Arcani maggiori, La Forza, che corresponde alla carta XI nella maggioranza dei Tarocchi, é la carta VIII nei Tarocchi di Rider.
Scopri cosa mi colpi di tutta la storia della cartomanzia:
http://www.astrologovincenzo.it/cartomanzia-2/
http://www.astrologovincenzo.it/consulto-telefonico-completo/
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